Quartieri ottomani d’Europa: quali e quanti sono?
Ci sono luoghi in Europa in cui l’atmosfera cambia improvvisamente.
Cammini tra architetture austroungariche, bellezze rinascimentali e persino brutalismo socialista, e d’un tratto ti trovi immerso nel profumo del caffè alla turca, nel canto del muezzin, nella geometria perfetta dei vicoli stretti e curvi.
Sei a Sarajevo, a Mostar, a Tirana, Skopje, Plovdiv.
Nei quartieri ottomani di queste città, tra bazar, caravanserragli, hammam, moschee, si respira una parte di storia europea che raramente ci viene raccontata come “nostra”.
E invece lo è. Lo è eccome. La cultura arabo-ottomana è parte delle radici d’Europa.
L’Impero Ottomano ha lasciato segni profondi non solo nella toponomastica o nell’architettura, ma nell’anima urbana di intere regioni balcaniche.
E in un’epoca in cui si parla molto (e spesso male) di radici culturali, io ho deciso di andarle a cercare proprio lì: nei margini, nelle mescolanze, nei luoghi ibridi.

Perché è lì che l’Europa rivela il suo volto più vero: complesso, stratificato, irriducibile a un’identità sola.
Questo articolo è un viaggio in alcuni dei quartieri ottomani più belli d’Europa.
Se il mio modo di raccontare i viaggi ti risuona e ti rispecchia,
non perdiamoci di vista.
Sarajevo, Baščaršija

A Sarajevo, basta attraversare il ponte Latino per entrare in un’altra epoca.
Il quartiere ottomano, Baščaršija è una delle eredità più vive e poetiche lasciate dall’Impero sul suolo europeo.
Un dedalo di vicoli dove il tempo sembra girare in tondo: moschee, fontane rituali, botteghe in rame, incensi, profumo di carne alla griglia e pita fresca.
La Bosnia ha vissuto secoli di dominazione ottomana, e qui tutto lo ricorda.
In Piazza Sebilj, con la sua iconica fontana di legno ottomana, si avverte qualcosa di sacro e quotidiano insieme.
Proseguendo lungo Sarači si arriva alla Gazi Husrev-Begova džamija, la moschea più importante della Bosnia.
In Bosnia, ho imparato che anche le fontane fuori dalle moschee sono luoghi architettonici da osservare. In questo caso, sono opere d’arte integrate con la spiritualità e con il ritmo della città.
E quando viene fame, si scopre che anche il cibo racconta l’eredità ottomana: carne, pane caldo, e — a sorpresa — una gentilezza disarmante.
In Baščaršija si respira una bellezza quieta, fatta di cura, accoglienza e memoria. Un pezzo d’Europa che resiste senza chiedere nulla.
Tirana, ottomana futurista

Tirana è una capitale che accelera. Costruisce, rinnova, cancella e reinventa. Ma c’è un luogo dove questa corsa incontra la lentezza del rito, dove la città nuova si specchia nelle sue radici ottomane: Pazari i Ri, il “mercato nuovo”.
Il nome può trarre in inganno, perché di nuovo qui c’è la struttura, moderna, in acciaio e plexiglass; ma l’anima è antica, profuma di olive, spezie e caffè alla turca.
Passeggiare tra i banchi ordinati di frutta e verdura, con i colori vivaci delle case sullo sfondo e il rumore basso della vita quotidiana, è un modo autentico per assaporare Tirana senza filtri.
Quando l’ho visto per la prima volta nel 2017, era poco più che un cantiere disordinato. Oggi è uno dei luoghi più vitali della città, dove si intrecciano memoria ottomana e riappropriazione urbana.
Il folklore si incontra con l’architettura contemporanea, e l’effetto è quello di un quartiere che non dimentica da dove viene, nemmeno mentre cambia forma.

E per chi vuole prendersi una pausa, c’è il Kafe Mehmeti, dove il caffè viene preparato secondo l’antico rituale turco: lento, aromatico, servito con rispetto.
Un piccolo gesto quotidiano che ti ricorda quanto le radici, anche quando sembrano invisibili, continuino a tenerci in piedi.
Poco distante, in Piazza Skanderbeg, si trova la Moschea di Et’hem Bey, costruita tra il XVIII e il XIX secolo, uno degli ultimi esempi di architettura religiosa ottomana in Albania.
Sopravvissuta al regime comunista che bandì ogni culto, oggi è un simbolo di rinascita e continuità.
Silenziosa e decorata con affreschi floreali, non ha mai cercato visibilità: si fa notare per la sua grazia riservata, più che per imponenza.
Entrarci — con rispetto, come si entra in una casa abitata — significa attraversare una delle poche soglie rimaste intatte tra passato e presente.
I bazar di Kruja, Albania

Se c’è un luogo che racconta la complessità del rapporto tra l’eredità ottomana e l’identità albanese, è Kruja.
Rocca della resistenza guidata da Scanderbeg — eroe nazionale che per 25 anni riuscì a contenere l’avanzata dell’Impero Ottomano — Kruja è al tempo stesso simbolo di opposizione e custode di eredità condivise.
Dalla cima della collina su cui sorge il castello, oggi sede del Museo Nazionale dedicato proprio a Scanderbeg, si apre una visuale ampia e sorprendente: un panorama che restituisce la sensazione di controllo, ma anche di apertura. Uno di quei luoghi in cui lo sguardo corre libero, ma affonda nella storia.
Ma Kruja è anche il luogo perfetto per chi ama i bazar antichi, i borghi senza filtri, le mani che lavorano ancora come una volta.
Il centro storico medievale, adiacente alla parte moderna della città, è stato oggetto di un progetto di rivalutazione che ha restituito vita alle botteghe artigiane: legno, lana, ferro, stoffe e tinture raccontano una manualità che resiste al tempo e al turismo di massa.
Nonostante la sua importanza storica, il bazar di Kruja è ancora poco turistico, ed è questo a renderlo speciale.
Passeggiare tra i banchi è come sfogliare le pagine non scritte della storia albanese: tra cappelli tradizionali, oggetti rituali, pizzi lavorati a mano, si intuisce che il conflitto non ha cancellato l’incontro, e che anche nei luoghi della resistenza, l’arte di mescolare resta viva.
(Ovviamente, ho comprato qualcosa anche io. Difficile resistere quando la storia si può toccare.

Mostar, borgo medievale ottomano

Mostar è una città che si svela lentamente, tra le pietre levigate del suo ponte e le voci che risuonano nei vicoli del bazar. Il quartiere ottomano di Kujundžiluk, il pieno centro storico, con le sue stradine acciottolate e le botteghe artigiane, è il cuore pulsante di questa narrazione.
Il Ponte Vecchio (Stari Most), ricostruito dopo la guerra degli anni ’90, è più di una semplice struttura architettonica: è un simbolo di speranza. Costruito nel XVI secolo durante l’Impero Ottomano, il ponte unisce le due sponde del fiume Neretva, rappresentando l’incontro tra culture diverse. La sua arcata elegante e le torri di guardia ai lati raccontano di una Mostar che, nonostante le ferite del passato, continua a guardare al futuro con determinazione.


Passeggiando per il bazar, si incontrano botteghe che vendono oggetti in rame, tessuti colorati e spezie profumate, testimonianza di una tradizione artigianale che resiste al tempo. La Moschea di Koski Mehmed Paša, con il suo minareto slanciato, offre una vista panoramica sulla città, permettendo di abbracciare con lo sguardo la bellezza di Mostar e la sua complessa storia.
Mostar è turistica, ma è anche un luogo dove l’architettura ottomana e la cultura locale si intrecciano, creando un’atmosfera unica che invita alla riflessione e all’apprezzamento delle diversità.
Skopje, il secondo bazar dopo Istanbul
Skopje è una città bifronte.
Da un lato, il centro nuovo ricostruito con statue giganti, architetture in finto neoclassico, ponti decorativi; dall’altro, appena attraversi il fiume Vardar, si apre un mondo che sembra resistere con orgoglio e discrezione: l’Old Bazaar.
La Čaršija di Skopje è un vero quartiere ottomano ancora vivo, non solo conservato per i turisti.
Qui si trovano moschee secolari, hammam trasformati in spazi culturali, botteghe artigiane che lavorano l’argento e il rame, caffetterie col pavimento in pendenza e il silenzio caldo del tè.
È un luogo dove il tempo non si è fermato, ma continua a fluire con regole proprie.

Tra i vicoli acciottolati, si incontrano la Moschea di Mustafa Pasha, splendida nella sua sobrietà, e il vecchio caravanserraglio Kapan Han, oggi luogo d’arte e convivialità.
Qui il turismo non ha ancora spazzato via la vita reale: studenti che studiano in silenzio, barbieri che lavorano con gesti lenti, anziani che parlano piano.
L’Old Bazaar è anche un esempio vivo di convivenza culturale: accanto ai luoghi islamici, trovi chiese ortodosse e botteghe gestite da macedoni, turchi, albanesi, rom.

Viaggiare nei quartieri ottomani d’Europa non è un atto esotico.
È un modo per rimettere insieme i pezzi di una storia che ci appartiene, anche se per lungo tempo abbiamo fatto finta che non fosse così.
Queste città non raccontano solo l’eredità di un impero, ma l’intelligenza dell’incontro, la complessità dell’identità europea che non si esaurisce tra cattedrali e caffè viennesi.
In un momento storico in cui si alzano muri e si semplificano le origini, scegliere di camminare nei bazar, tra moschee, hammam, tessuti e parole in lingue diverse e cercare pezzi del nostro dna è un gesto controcorrente. È ricordare che le nostre radici non sono lineari, ma intrecciate.
E forse è proprio questo a renderle così belle.
2 Comments
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Sabrina - In My Suitcase
In Romania sono stata a Timisoara e a Bucarest e per quanto si possano trovare molte bellissime ed evidenti tracce dell’impero ottomano, non sono rimasti veri e propri quartieri ancora conservati con le prassi e i ritmi e stili di vita ottomani in sé. Ma se hai qualcosa da suggerire, sono tutta occhi e orecchie
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Piotr
Bellissimo articolo, adoro quando il viaggio tocca anche queste tracce “minori” della storia. A Berat ci sono stato ma non avevo fatto caso a certi dettagli architetonici. Ti è capitato di trovare qualcosa di simile anche in Romania?