Avete presenti quei paesi deliziosi, quelle capitali bellissime dall’immenso carisma estetico e dalla storia meravigliosa, intrigante e profonda che sono Estonia, Lituania e Lettonia?
Sì, proprio loro, che sono ad un passo da noi grazie a voli delle nostre amate compagnie low cost.
Proprio loro che sono diventate per noi così vicine da preferirle per un week-end fuori porta alle città della regione italiana limitrofa…
Ecco, sì, proprio quelle possono essere la prossima mira del wanna-be Tzar Vladimir Putin.
Allora, facciamo un passo indietro per capire meglio perché i tre gioielli baltici, patrimoni di inestimabile valore geografico e geopolitico per l’Europa, sono l’antesignano casus belli del capriccio di Putin.
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Quando i tre paesi baltici si sono uniti alla Nato

Tra l’89 e il 91, dopo lo scenografico abbattimento del Muro di Berlino e nei passaggi dell’altrettanto scenografica caduta dell’URSS, ci sarebbero state delle promesse fatte dall’America all’ultimo Segretario Generale del Partito Comunista Gorbačëv di non ampliare l’Alleanza Atlantica (cioè la Nato) verso Est, cioè verso il confine con quel che restava dell’ex territorio sovietico.
Al netto del fatto che queste promesse non sono mai state scritte e non ve n’è traccia da nessuna parte [ma proprio nessuna], sta di fatto che come sappiamo l’ampliamento dell’UE ha consentito l’ingresso all’alleanza economica (e morale, e culturale) ad alcuni dei 10 paesi nati dalla caduta dell’URSS , cioè i tre paesi del Baltico Estonia, Lituania e Lettonia.
Anche la Georgia, sempre sul confine russo, vorrebbe avvicinarsi a questo mondo e alle sue opportunità economiche e al momento il Paese viene riconosciuta dall’UE come membro di punta del partenariato orientale , cioè un modo carino per dire “cara Geogia, non hai ancora un PIL sufficiente per entrare nell’UE ma ti diamo una mano nella crescita economica affinché tu possa essere pronta di qui a qualche anno, se fai la brava”.

Queste quisquilie di geopolitica sono tra le cose che rendono la capitale Tbilisi una meravigliosa perla di cultura “bifronte”, con un’anima moderna che guarda all’Europa con i suoi palazzi di vetro, e un’anima e uno sguardo fiero e assertivo alle sue influenze passate che sanno di Asia, di un complesso passato persiano, bizantino, arabo, mongolo, ottomano e, appunto, [anche] russo.
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Non ci giriamo intorno: dopo l’Ucraina, che da tempo aveva avviato trattative diplomatiche per entrare nella NATO, aumentando il disappunto di Putin, che non voleva le ennesime basi NATO in paesi confinanti con la Russia, i prossimi step dell’avanzata Russa, il prossimo fronte in lista potrebbe essere la meravigliosa Georgia, mentre i tre paesi Baltici possono a breve diventare sia luogo di attacco da parte della NATO (ci sono basi missilistiche in tutti e tre i paesi baltici) sia luogo di ulteriori chiare rivendicazioni da parte della Russia.
Cioè, Vlad potrebbe uscirsene chiaramente con “Voglio che non ci siano più basi nato in questi tre paesi”.
Le falle ideologiche della compatriot policy

La motivazione addotta da Putin per l’invasione di Ucraina (e prima di Crimea e anche per l’invio di truppe in Donbass, regioni dell’Ucraina con [piccole] frange separatiste filorusse) è la compatriot policy, della quale avevamo già parlato in questo articolo.
La Compatriot Policy è l’assunto ideologico per il quale i paesi in cui una parte della popolazione parla o conosce il russo e si identifica in aspetti culturali “russi”, deve appartenere alla Russia o quanto meno non uscire dal suo protettorato [militare].
La realtà è ben più credibile della retorica: la Russia di Putin non vuole che ci siano paesi confinanti con la Russia con basi militari NATO.
La compatriot policy non sta in piedi per una miriade di motivi. Primo fra tutti, come nel caso della Georgia, le ex repubbliche sovietiche sono un agglomerato di storia e di cultura secolare che precede di molto la parentesi URSS. Il fatto che possano esserci anziani nostalgici dell’URSS è una mera questione di deviazioni della memoria e della psicologia collettiva che conosciamo fin troppo bene anche nel nostro paese.
Per tornare ai paesi del Baltico, questi sono ben distanti dalla “politica dei compatrioti”;
con tutto il rispetto che le popolazioni baltiche hanno per la Russia e soprattutto per i Russi, gli estoni, i lituani e i lettoni hanno una forte identità nazionale e ce lo avevano già dimostrato nel 1989, con quella memorabile e bellissima catena umana di oltre 2 milioni di persone formatasi a Tallin, Riga, Vilnius e tutte le città principali e non dei tre paesi baltici.
NB: non metto foto perché quelle che si trovano online sono protette da copyright ma ti invito a fare una ricerca su Google per le parole CATENA BALTICA.
I paesi baltici si prendevano fisicamente per mano per affermare la loro voglia di indipendenza dall’URSS.
Come abbiamo fatto a passare dalla caduta dei muri, dalla riunificazione economica e politica di paesi feriti da anni di guerra, dalla fine della Guerra Fredda e dalle catene umane che attraversavano nazioni a questo?
Perché vedo in questi fronti delle “semplici e banali” destinazioni di viaggio?

Noi che abbiamo assistito con i pochi mezzi e pochi canali TV alla caduta di muri e alla dissoluzione di cortine di ferro, nel viaggio “facile” come avamposto di pace e libertà collettiva ci abbiamo creduto davvero.
E non perché “ll viaggio ci rende migliori” e bla bla bla, ché lo sappiamo che non è vero, ma perché la libertà di movimento tra stati che erano nemici fino ad un attimo prima era (ed è, per noi) una libertà reale, morale, politica.
E da viaggiatrice che ha assistito a questo passaggio, nonostante fossi molto giovane quando è avvenuto, sapere che una “destinazione” diventa “fronte” corrisponde alla riapertura di una ferita.
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