Viaggiare dopo il 30: il fascino dell’auto distruzione

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Questa faccenda del “Forever young” è un concetto sopravvalutato!
Parliamoci chiaro: non ho nessuna nostalgia dell’adolescenza, quel periodo oscuro pieno di fisime e problemi di auto accettazione, incapacità di gestione del crespo sui capelli e paura di non saper baciare.

Crescere è fico, fichissimo, per alcuni fondamentali motivi così riassumibili:
– ho più autonomia, anche economica, per fare quello che posso (più che quello che voglio), ma soprattutto per viaggiare;
– per quella roba relativa all’autostima (o, banalmente, all’arte di fottersene), di cui sopra;
– perché ho ottime scuse per non fare cose che non ho mai voluto fare né a 17 né a 20 anni.

E poi, si impara ad ascoltare il proprio corpo, non tanto per una questione di abilità e consapevolezza, quanto per il fatto che urla, urla fortissimo.
Urla che cosa non devi fare, che cosa non devi bere o mangiare. Ti rimprovera e ricatta con chiarezza infraintendibile se hai dormito poco e se non esegui i suoi comandi.

Sempre… tranne che in viaggio. Dove l’asino casca.

Quando viaggio il mio corpo tace e ne pago le conseguenze al rientro, e ogni viaggio diventa un fascinoso avvicinarsi al baratro e all’auto distruzione fisica, mentre lo spirito si avvicina da solo ma faticosamente al nirvana.

Vado verso i 35 (tra 5 mesi, piano con gli auguri, c’è tempo). E so che il prossimo viaggio (due destinazioni in una settimana) tra 10 giorni sarà l’ennesimo devasto corporeo, nonostante abbia appeso da un bel po’ al chiodo le infradito a prova di scabbia portati nei peggiori ostelli della gioventù d’Europa.

Non è una questione di accomodation o di città, è una questione di ritmi corporei che mi ostino a non ascoltare.

Ecco un breve elenco di cose che un tempo non avevano conseguenze, ora sì.

Digestione di cose altrove ritenute commestibili

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Tipo la cipolla. Non sono le rughe di espressione che fanno la differenza, ma la cipolla. Un tempo mangiavo poco ma digerivo tutto. Adesso mangio pochissimo e ne pago le conseguenze perché nel resto del mondo faccio fatica a trovare una piadina, una zuppa, un caffè che non contenga cipolla, per altro poco cotta.

Qual è il vostro problema? Esistono miriadi di spezie e alternative, perché la cipolla?

Già a Belgrado, a 32 anni, avrei dovuto capire che qualcosa nel mio corpo non rispondeva più: quando vai ad un matrimonio serbo e rimani sobria perché da due giorni hai crampi tremendi allo stomaco nonostante la tua attitudine a mangiare aria (che in Serbia contiene cipolla), è chiaro che l’auto distruzione ha avuto inizio.

Persino bere birra, mie care e miei cari, inizia ad essere difficile. Non è un problema di rughe, è sempre e solo un problema di stomaco.

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Che sono sempre stata noiosa, è storia nota. Amo il mattino e la luce, la notte non mi appartiene. Tutt’al più appartengo io a lei quando ho insonnia d’amore, ma non la considero esperienza gradevole.
E questo era così anche quando avevo 20 anni. A dirla tutta ho conosciuto la notte dopo i 25, anche in viaggio, con tirate in barca sulla Moldava, albe maltesi, campeggi selvaggi e ventosi in Olanda.

Poi ho conosciuto l’insonnia. La vita, con i suoi sporadici ed educativi calci in culo, mi ha presentato questa simpatica maestra. E quindi, niente: dallo Xanax in poi, se sono serena alle 23 si dorme. Punto. Anche in viaggio. E a dirla tutta, soprattutto in viaggio alle 23 sono stanca some se fossero le due di notte.

Eppure… eppure quel fascino del jet lag al quale non do retta, quella voglia di camminare ore anche se il mio bioritmo di dice che tecnicamente sono le cinque di mattina, hanno il sopravvento di tanto in tanto. E le occhiaie resteranno come cartolina e francobollo del viaggio per circa un mese.

Io non passeggio, io cammino forte. 

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Amo camminare, nella vita, in generale. Come ho scritto in “Come rendere un week end fuori porta un viaggio” quando viaggio cammino tanto, troppo forse.

Per giunta, diciamolo, sono anche un’esteta… un’esteta cretina, e cammino epicamente con tacchi tronchetto o con ballerine o scarpe bassissime, belle per carità, ma il peggio del peggio per chi cammina.

Un giorno, forse, ascolterò ginocchia, piedi e schiena e comprerò delle running. Comode e bruttissime. Sino ad allora, fingerò di non portarmi a casa giunture che scricchiolano (ancora sento il dolore del post Varsavia… e piango di dolore e solitudine).

Il problema non è camminare, diciamocela tutta. Il viaggio dopo i 30 anni è un’attitudine auto distruttiva. Come il gin tonic e l’overdose di peperoncino. Ma che fai, mica smetti?
Che figura ci fai, dannazione!

 

2 Comments

  • Simona e Federico

    Ahahaha oddio sto per morire dal ridere! Questo ovviamente perché mi ritrovo su TUTTO (Federico fa storia a sé). Dalla cipolla, ovvero Il grande Boh (non esiste valida spiegazione per l’abuso che ne fanno all’estero, per di più cruda!) , alla scarpa da esteta, che infiniti addusse dolori alle turbo-flâneur che non ce vojono sta’ (ma come fanno quelle sempre fighissime su Instagram? Vedono una cosa al giorno? Hanno gli autisti? I facchini che gli portanto scarpe e vestiti da foto? Maaah!) fino al ”io non passeggio, io cammino duro”. Mi stavo sentendo male: troppo bello, troppo d’accordo! Ps se dopo i 30 in viaggio si va verso l’autodistruzione, dopo i 40 si veleggia diretti verso la Fossa delle Marianne…

    • Sabrina - In My Suitcase

      Guarda, sulle strafy che dicono di essere (e, per carità, sono) travel blogger ma viaggiano solo con vestini leggeri (come la mafia, che uccide solo d’estate) e scarpe bellissime – leggi impraticabili – ci scriverò un post a breve, brevissimo. lascia perdere i 40: i 30 sono come la livella di totò; siamo tutti uguali solo di fronte alla morte e ai 30 anni.

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