Viaggio a Istanbul; la città che ti sfiora, non ti abbraccia.

Istanbul viene spesso raccontata come la città degli incontri.
Crocevia, ponte tra Oriente e Occidente, dialogo tra culture, culla di civiltà. 
Anche qui, fraseologie care a noi travel blogger, che qualificano più il bisogno di chi scrive e legge che la realtà dei luoghi.

A Istanbul, più che incontrarsi, le cose si sfiorano.
Le lingue, le religioni, le storie: convivono, ma non si fondono.

Ogni comunità ha lasciato tracce: un’abitudine, una vetrina, un nome, un cibo, ma quasi mai un dialogo continuo.
Ci si passa accanto, si condivide un pezzo di strada, poi si torna ciascuno nel proprio spazio.

Non è un limite, né un difetto. È una forma di esistenza urbana che ha a che fare con la stratificazione, non con la sintesi. Non è “integrazione”, parola cara all’Europa occidentale e all’occidente in genere; a me sa più di coesistenza. 

E forse è proprio in questa distanza sottile che Istanbul rivela la sua identità più profonda.

A fine articolo, ultimo paragrafo, ti lascio volentieri dei piccoli itinerari da seguire nella tua permanenza;
ma prima, permettimi di condividere con te, mon ami, alcune considerazioni e disambiguazioni utili, come piace a noi, in questo spazio.

La città degli strati, più che delle sintesi

Camminare a Istanbul significa passare continuamente accanto a qualcosa.

Santa Sofia è il punto perfetto da cui cominciare. Nata basilica cristiana nel VI secolo, trasformata in moschea nel XV, divenuta museo nel Novecento repubblicano, e tornata moschea nel 2020.
Ogni trasformazione non ha cancellato la precedente, ma l’ha coperta, sovrapposta, adattata (più di qualche volta, con un approccio violento).
Il Cristo Pantocratore affrescato è ancora lì, solo oscurato dalle calligrafie ottomane. Le navate cristiane sopravvivono sotto i tappeti da preghiera. È tutto ancora visibile, ma separato.

Ogni epoca aggiunge il proprio strato sopra quello precedente.
Ogni comunità si adagia su quella passata, la copre, la modifica, ma non la integra mai del tutto.

È una città dove le linee di frattura sono più mappe che crepe.
E personalmente non mi conducono al “crocevia”, ma ad un complesso e affascinante
equilibrio precario. 

Istanbul e il mito del crocevia: aspettative, narrazioni, contraddizioni

Diamo un contesto che spiega come mai, quello che per l’Europa occidentale è “uno strano fenomeno“, cioè tante culture che convivono senza diventare una cosa sola, qui è una cosa ovvia.

L’Impero Ottomano, a partire dal XV secolo, fece della tolleranza religiosa e della coesistenza tra comunità uno strumento politico e amministrativo.
Dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, Mehmed II il Conquistatore ripopolò la città incoraggiando l’arrivo non solo di musulmani, ma anche di ebrei sefarditi espulsi dalla Spagna, cristiani ortodossi, armeni, levantini.
A ognuno fu permesso di mantenere lingua, culto, leggi interne, purché rispettasse l’autorità del Sultano.
La città si trasformò così in un insieme di “millet”, comunità religiose-autonome, che coesistevano sotto una cornice comune ma senza mai realmente mescolarsi.
Questo approccio pluralista, pur non essendo esente da discriminazioni, gettò le basi per quella che oggi percepiamo come una stratificazione visibile: Istanbul come archivio vivente di popoli, religioni e estetiche che si sono susseguite senza annullarsi.

I migranti come leva geopolitica

Questa città, che per secoli ha accolto senza fondere, oggi continua ad assorbire presenze, ma in un equilibrio fragile.

E se gli armeni possono ben dissentire sul tema dell’accoglienza turca, ci sono anche aspetti chiaroscuri nella Turchia attuale in merito alle politiche migratorie.

La Turchia ospita oltre 3,6 milioni di rifugiati siriani, più che qualsiasi altro Paese al mondo, e molti di loro vivono proprio a Istanbul.
La loro accoglienza non è mai stata solo umanitaria, ma una scelta politica, parte di una negoziazione più ampia con l’Europa.
Dal 2016, grazie all’accordo UE-Turchia, Ankara ha ricevuto miliardi di euro e la liberalizzazione dei visti turchi in UE, in cambio del controllo e blocco dei flussi migratori verso l’Europa.
Una promessa ribadita, minacciata e ritratta più volte, alla lamentatio turca di fondi lenti, bloccati e visti negati;
In questo quadro, i migranti diventano non solo cittadini in cerca di asilo, ma anche pedine sul tavolo della prpessione geopolitica.
Anche questo è un volto di Istanbul: città-archivio, città-cerniera, città-trincea.

Coesistenza vs integrazione

A Istanbul, la parola “integrazione” sembra fuori luogo, perché è un concetto tutto dell’Europa occidentale, verso il quale ho visto sorrisi sarcastici anche nelle mie conversazioni con persone in Bosnia, in Serbia e nelle città più popolose dei Balcani, la cui storia è legata alla Turchia a doppia mandata.

Non perché manchi la diversità, ma perché nessuno sembra preoccuparsi di fonderla in qualcosa di unitario.
In molti quartieri, convivono comunità religiose, linguistiche e culturali che abitano lo stesso spazio urbano, ma non lo condividono pienamente. È una coesistenza fatta di sfioramenti, non di dialoghi sistematici.

Passeggiando a Balat, si percepisce il passato ebraico, greco e armeno del quartiere, ma i segni di quella presenza sono ormai più architettonici che umani.
A Fatih, l’anima conservatrice e religiosa si manifesta nei veli, nelle librerie islamiche, nei ritmi rallentati del vivere quotidiano. Appena attraversi il ponte, Kadıköy ti apre a un altro mondo: caffè pieni, ragazze coi capelli colorati, musica nelle piazze e un’estetica occidentale che non chiede permesso.

In nessuno di questi quartieri avverti una vera mescolanza e, soprattutto, non ne senti la necessità.
E forse è proprio qui che risiede la sua bellezza complessa: nell’assenza di una sintesi forzata.

Mini itinerario per lasciarsi sfiorare da Istanbul

Come promesso, eccomi a fare quello che fanno i travel blogger: suggerire itinerari.

Ecco una mia proposta per chi vuole camminare a Istanbul senza cercare di capirla tutta

Giorno 1 a Istanbul

  • Visita al quartiere di Sultanahmet e ai suoi hotspot
    – Santa Sofia
    – Moschea Blu
    – Basilica cisterna
    – At Meydanı, o Piazza dei Cavalli
  • Tramonto sul Bosforo, dopo aver attraversato il ponte di Galata

Giorno 2 a Istanbul

  • Visita al Bazar delle spezie
  • Visita al Gran Bazar
  • Spostati verso il quartiere di Balat, al quale ho dedicato un articolo

Giorno 3 a Istanbul

  • Passaggio per Beyoğlu
  • Visita al Museo di Pera, dove l’arte racconta i passaggi tra Oriente e Occidente
  • Pausa tè o caffè a Cihangir
  • Se hai ancora energie: tramonto a Çukurcuma, tra antiquari, librerie e memorie ottomane

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