Vengo da una famiglia numerosa. E sono la più grande tra le femmine. Seconda per età solo a mio fratello, il primo di una lunga stirpe di cuginame, sono anche la più grande di tutti, maschi e femmine.Quindi, sono stata la prima a fare alcune cose. Tipo viaggiare.
Anche da sola. Anche spesso. Anche in maniera inopportuna, incivile, malata, compulsiva.
E la prima (e in questo caso unica) ad essere considerata tarantolata, incapace di stare ferma nello stesso posto per un tempo percepito come accettabile (almeno nella famiglia di cui sopra).
La prima tappa per me è stata Londra, alla quale guardavo con fare scettico e anche con un po’ di paura. E scetticamente ho fatto i miei 10 giorni di ricerca tesi nelle piccole librerie di testi usati, di autori dimenticati (come la mia Aphra Behn). Scetticamente prendevo i miei tè incandescenti e biscotti al burro da portar via, come tutto il resto.
Nonostante fossi forte del mio scetticismo, tra un giro notturno a Soho e una lettura accanto a Charlie Chaplin in Leicester Square, le mie difese immunitarie si abbassavano, e come quando ci si innamora senza accorgersene, senza accorgermene mi sono innamorata. Ovviamente accade sempre in autunno.
Da lì è iniziato tutto.
Poi un giorno, scatta l’altrove anche in uno dei cugini più piccoli, che intanto ha superato i 20 anni, che va proprio a Londra.
Grazie a facebook seguo come cambia il suo modo di percepire il mondo mentre è lì.
Post dopo post.
Maggiore consapevolezza linguistica sia in italiano che in inglese.
Inedita capacità di analisi e di sintesi della realtà.
Attrazione per quelle che una volta erano paure, tipo le diversità.
Cresce a dismisura in poco tempo, si distanzia anni luce dal mondo in cui ero abituata a vederlo e… si distanzia anni luce da come era l’ultima volta che l’ho visto.
Sì, è cresciuto. Una cosa che accade all’improvviso. E che a volte accade a Londra.
E poi mi accorgo che la più piccola di tutta la famiglia ha imparato, senza ancora muoversi dal suo paesino, a parlare inglese correttamente e in maniera veloce, ironica, allegra. E va anche lei a Londra. Ed è perfetta lì, con i suoi stivaletti e i legging, i capelli lunghissimi da figlia dei fiori e il contorno occhi fumé.
Perfetta per Londra, quindi perfetta per il mondo.
Tutti e due così perfetti da entrare a scrocco ad un concerto degli Stones. Per poco, ma va bene lo stesso.
Iniziano a citare The Clash, gli Stones e non più solo Vasco.
E mi dicono cose tipo: ‘quando ci vai di nuovo, a Londra, dimmelo e ci andiamo insieme. Io ci andrò spesso. E mi ci vorrei trasferire appena finisco’.
Parole in cui leggo chiaramente l’insofferenza delle distanze e il MAD (missing anywhere disease), che non è nostalgia. La nostalgia è solo quella per il posto che ti appartiene e al quale appartieni e apparterrai per sempre. Diversa è la mancanza di un posto che è tuo perchè lo hai scelto, ma al quale tu non apparterrai mai del tutto.
Quando tutto questo accade, quando il MAD non è solo una diagnosi per te, ma diventa questione di sangue, quel giorno sei più grande, perchè anche quelli che erano i piccoli sono cresciuti. E sei meno sola, perchè loro ti hanno raggiunta.
Londra è un buon punto di partenza.
Ed è un buon punto per tornare ‘quando finisco’. Qualunque cosa.
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