In Kirghizistan, la transumanza non è solo un modello economico, ma un codice culturale: un modo di vivere che intreccia natura, identità e memoria collettiva.
Su una popolazione di circa 7 milioni di abitanti, il paese conta oltre 375.000 piccole aziende agricole a conduzione familiare, e l’80% di queste segue ancora il modello nomade della transumanza (dati FAO).
Greggi e mandrie vengono portate in altura per 3-5 mesi all’anno, affinché possano nutrirsi con l’erba migliore, pascolare liberamente e rinforzarsi, intorno a piccoli agglomerati di yurte e strutture in lamiera alimentate a bio carburante ottenuto dallo sterco del bestiame.
Tra i villaggi e le montagne del Naryn, si muove anche un altro flusso: quello della modernizzazione, della connessione globale, dell’economia digitale.
Il Kirghizistan è oggi attraversato da una tensione profonda, che mette i commerci e gli scambi globali, con le loro promesse (e pretese) da un lato; dall’altro, uno Stato e un popolo che cercano di non perdere ciò che li definisce come comunità, che cercano nell’identità collettiva la bussola per non perdersi di vista.
Questo è un viaggio tra alcuni mestieri legati all’economia nomade: yurtai, sellai, artigiane del feltro, produttori di strumenti musicali.
In fondo all’articolo, trovi una mappa con l’itinerario seguito nei villaggi indicati.i
Kočkor e la produzione di tappeti in feltro
Aizada si lega meglio la bandana alla testa sudata, dopo aver tagliato e abbattuto, con una bacchetta di metallo, la lana appena tosata.
L’ha stesa stesa su un tavolo coperto da un tappeto di vimini, creato i pattern e decorazioni che saranno, tra poco, scolpite su un copri sedia in feltro.
Pressare la lana umida richiede forza che le sue braccia hanno, ma il sole kirghizo a luglio e il vento secco le lasciano gocce sul viso.
Poi, accende le casse bluetooth e le collega al cellulare con cover a portafoglio, parte la musica e lei inizia a ballare e tenere il ritmo.
La fase successiva è quella in cui lei e la sua giovane collega, fanno girare il tappeto arrotolato al suolo, con una fune, e lo pestano a ritmo di musica.
In questo modo il tappeto perderà tutta l’acqua, la lana si assottiglierà e le decorazioni, che fino a mezz’ora prima non erano che grumi crespi di lana poggiati su un manto grigio, diventeranno pattern regolari, diventeranno arte.
Se per fare questo piccolo copri sedia sono bastate due persone, per gli enormi tappeti o i rivestimenti delle yurte, possono servire tutti i bambini del villaggio, disposti a ballare sul tappeto infagottato a forma di ruota, a suon di musica.
E la produzione diventa rito collettivo.
È stato nell’inverno del 1996 che, quella che era solo una pratica artigiana un po’ privata, un po’ collettiva di Kočkor, insediamento sull’autostrada A365 che porta a nord verso la capitale Biškek, ha iniziato ad evolversi ad un modello di micro impresa locale e sociale, che oggi ha il nome di Altyn Kol.
Le mani sapevano già tutto, la voglia di lavorare non mancava. Ciò che serviva era un ponte verso il mondo del commercio e della comunicazione.
Così, con l’arrivo della primavera, è iniziato un percorso di supporto grazie all’Helvetas Agro-project, un’iniziativa che sarebbe poi diventata parte del sistema di consulenza agricola della regione.
Oggi, oltre 200 donne della regione di Naryn sono parte attiva del progetto, che unisce produzione, diffusione di sapere, accoglienza e, ovviamente, vendita.
Kyzyl-Tuu, il villaggio delle yurte e delle selle
A Kyzul-Tuu, villaggio di meno di 2000 anime nel distretto rurale di Ak-Terek, l’80% delle famiglie è legata alla produzione di Yurte.
Ma Nurbeck è il migliore, forte di quattro generazioni di yurtai alle spalle, e una discendenza di 4 figlie e un quinto in arrivo, di cui almeno uno o una, probabilmente, continuerà la tradizione.
Le sue ragazze, già abilissime nell’assemblare le assi di salice per costruire in poco tempo una yurta solida, dovranno acquisire l’abilità di fare forza con il sistema delle leve, necessaria per dare alle assi la forma lievemente ondulata ai margini, dopo essersi ammorbiditi con il vapore di un forno rudimentale.
Le figlie di Nurbeck potrebbero appartenere alla generazione a cavallo tra famiglia tradizionale e nuovi modelli;
potrebbero essere tra quel circa 20% di giovani che prendono la via della mobilità accademica internazionale (Russia, Turchia e sempre più Europa), per poi lavorare nel campo dell’IT, del turismo, dei nuovi media.
Hanno volti svegli e sguardi attenti, il loro futuro potrebbe non essere legato solo alla costruzione e vendita delle yurte; ma dato l’aumento della domanda dall’estero, in particolare Francia e UK, potrebbero essere un buon collante tra le mani ruvide del padre e i nuovi modelli di una generazione che si apre al commercio internazionale.
Non molto lontano, nello stesso villaggio, Cholponbai usa ceppi di salice come Nurbeck, ma per fare selle in grado di resistere ai carichi importanti dei nomadi nei periodi di transumanza.
Salice formato ed essiccato per un mese, doppio strato di pelle di rivestimento e rinforzo, chilometri di fili di pelle intrecciata per briglie resistenti.
Cholponbai produce selle a mani nude da 40 anni, praticamente dal giorno dopo aver concluso il servizio di leva.
Ha 2 figli maschi, 3 femmine e 18 nipoti.
Le due femmine sanno fare selle, forse non bene come lui, ancora, ma stanno imparando in fretta.
Inoltre, due insegnanti della scuola del villaggio vengono qui, nel suo cortile pieno di albicocchi, per imparare l’arte.
Chlponbai non si fa pagare, insegna gratuitamente per tramandare quello che le sue mani bellissime fanno da 40 anni.
Svetlaya Polyana e la musica del Komuz
Ryspek, nella sua proprietà nel villaggio di Svetlaya Polyana, non ha solo salici, ma anche alberi di mele, albicocchi, ginepri.
Questi sono i legnami di base necessari per produrre il Komuz, strumento musicale caro alla cultura Kirghiza.
I cantastorie kirghizi, gli Akyn, hanno il Komuz come arma di racconto e denuncia.
Il più famoso Akyn della storia kirghiza è Toktogul Satylganov, il cantastorie che denunciava i soprusi delle élite in età zarista sui poveri e sui contadini Kirghizi.
La sua opera gli costò la reclusione in Siberia, ma anche il plauso e favore dei vertici rivoluzionari sovietici che lo hanno eletto come simbolo di lotta di classe.
Toktogul Satylganov aveva un Kumus piccolissimo da nascondere nel cappotto, per portarelo con sé anche in Siberia – ci racconta Ryspek mentre leviga il pezzo unico di legno di albicocco con il quale sta creando un nuovo Kumuz.
L'economia del Kumiz, elisir nazionale
Nei mercati delle spezie di Biškek, lungo le strade polverose dei villaggi o tra i pascoli sconfinati del Suusamyr, capita che qualcuno ti offra, o ti venda, un bicchiere di liquido bianco, appena frizzante, con una nota lievemente alcolica e un profumo d’erba: è il kumiz, il latte di cavalla fermentato, bevanda simbolo della cultura kirghisa.
Si produce soprattutto d’estate, quando le giumente vengono portate in altura per nutrirsi dei pascoli più ricchi.
Durante il periodo sovietico, la produzione era fortemente ridotta: le restrizioni sulla proprietà privata e il controllo centralizzato avevano fatto calare drasticamente il numero di cavalli, e con loro anche il kumiz.
Solo dopo l’indipendenza, quando le mandrie hanno potuto crescere di nuovo, il kumiz è tornato ad avere un ruolo centrale, non solo come rito culturale, ma anche come richiamo per un turismo terapeutico.
Nella regione di Naryn, in particolare, si è diffusa l’idea di ritiri brevi a base di kumiz: soggiorni di 10 giorni dedicati alla cura del corpo attraverso questa bevanda, che si dice faccia miracoli per l’intestino e, di riflesso, per tutto il resto.
I più affezionati? Cinesi, turchi, russi e, naturalmente, kirghisi.
In Kirghizistan, il futuro siede su un ceppo di salice grezzo, a cavalcioni di una sella, oppure danza su un fagotto che diventerà un tappeto.
Ha occhi scuri e lucidi, osserva, ascolta, a volte impara, a volte sogna altro.
Le mani nude che pressano la lana, tagliano e forgiano legno, intrecciano cuoio non creano solo oggetti, ma un’idea di mondo.
Le stesse mani, oggi, afferrano uno smartphone tra una fase e l’altra del lavoro, e insegnano il lavoro come atto politico silenzioso.
E mentre il Kirghizistan si muove tra mercati globali e radici, cavalli e connessioni, strade in costruzione e sterrati, noi ci fermiamo qui, per ora.
Nei prossimi articoli ti porterò dove il corpo diventa rito: tra giochi a cavallo, aquile in volo e altre forme di fedeltà, alla natura e alla cultura.
Itinerario dei luoghi narrati
4 Comments
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Sabrina - In My Suitcase
Ti ringrazio moltissimo per esserti fermata a leggerlo, significa davvero molto per me! spero sia di auspicio per il tuo viaggio in kirghizistan.
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Vincenzo Cappelletti
Complimenti Sabrina, per la narrazione precisa, sembra sintetica ma è esaustiva e completa. Scorre via piacevolissima e ti prende in toto. In attesa della peossima
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Sabrina - In My Suitcase
Grazie vincenzo! Ti aspetto per la prossima parte del racconto
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LAURA
Ti ho seguito sui social in questo viaggio meraviglioso che penso ti abbia regalato emozioni come pochi altri posti. È bello riviverlo attraverso il tuo racconto che mi ha lasciato sognante di poterci andare anch’io un giorno