Da tre anni è una delle mete della mia malinconia.
Soho, a prescindere da New York. Forse perché è così europeo, non lo so, ma è il solo posto della grande mela in cui sono tornata (a piedi da Manhattan) più di una volta.
Non ce l’avrei fatta a restarvi lontana e non trascorrerci almeno un sabato sera nemmeno se la regista Elahe Massumi, che ho avuto il piacere di incontrare, non mi avesse dato proprio in Broome street un appuntamento, per poi andare a cena assieme.
Ho approfittato delle mie due ore di anticipo nell’area di Soho per fermarmi all’angolo tra Broome e Broadway (363 W Broadway) e bere una rossa leggera prodotta a Brooklyn. Brooklyn era il nome della birra, Broome Street Bar il nome del posto. Consigliata per chi ama le rosse ma è solo all’inizio della serata.
Arrivo al 309 di Broome, dopo aver attraversato l’ennesima lunghissima strada con negozi belli da vedere di tutti i tipi (gli amanti del té si fermino al 433 di Broome da Harney & Sons, per l’amor di dio!). Punto di incontro, White Box. Approfitto dei miei 45 minuti di anticipo per entrare ed assistere all’esibizione ed esposizione della galleria.
Ok, lo ammetto. Amo, decisamente adoro entrare in quei posti radical chic dove con 5 dollari di offerta libera ti fanno ascoltare musica live, ti mettono in mano un bicchiere di vino bianco (italiano) e io posso iniziare a guardare gli astratti ad acquerello o i polimaterici appesi al muro interpretandoli come si fa con le nuvole ad aprile (leggi anche, non ci capisco niente ma fantasticare ti fa passare per esperta tanto più se hai in mano vino bianco italiano e parli italiano).
Prendo posto, iniziano a suonare. Dire che preferisco il mio Jazz o l’r&b o folk rock/folk pop … o banalmente il pop nazional popolare sarebbe un modo elegante per dire che non ho gli strumenti per decodificare un’esibizione di flauto traverso, violoncello e clavicembalo. Quindi ascolto con la ruga verticale che mi compare tra le sopracciglia quando sembro concentrata ma in realtà non capisco un tubo.
Unica arma a mio favore, conosco il titolo dell’esibizione: “Bird-like things Like trees”. Percepisco quindi l’effetto musical boschivo (non è la vostra impressione, musical boschivo non vuol dire proprio una benemerita), e colloco alcuni passaggi in una posizione mediana tra l’autunno di Vivali e la Notte sul Montecalvo di Musorgskj. E così ne esco bene.
Finisce l’esibizione. Incontro Elahe (scriverò un pezzo a parte sulle chiacchiere con questa regista iraniana).
Conosco un po’ di gente presente alla mostra, poi andiamo a mangiare a China Town. Ristorante Vietnamita (Pho Viet Huong – Mulberry str), che a dire il vero non mi ha entusiasmata. Perchè i chinese mushrooms erano porcini simil-italiani e tutto era troppo fritto.
Ma la passeggiata notturna post cena in una China Town deserta e poi di nuovo a Soho, dove ragazzi e adulti vanno in giro vestiti da zombie parlando di politica o di gossip sentendosi credibili nonostante i loro costumi, è un’esperienza bella e divertente.
Sabrina Barbante
forse anche per questo l’ho amata <3