Sei una viaggiatrice dai 30 anni in su? Sei viva per miracolo

Mi viene più facile declinare al femminile, lo sapete, ma quanto sto per dire è valido quasi allo stesso modo per i viaggiatori maschi.

La riflessione in merito ai viaggiatori over 30 che hanno iniziato a viaggiare quando avevano 18-20 anni (se non anche prima), in gruppo o da soli, mi era già partita nell’articolo

Noi, che a vent’anni viaggiavamo così

 

in cui però mi soffermo sugli aspetti positivi degli arbori (e a mio avviso epoca d’oro) dei viaggi low cost, il momento magico della storia della civiltà occidentale in cui il viaggio smetteva di essere un privilegio legato ai soldi, e iniziava ad essere un lusso laddove per lusso si intende ‘libertà’.

Ma in diversi recenti post mi è capitato di fare alcuni riferimenti a quello che mancava alla generazione che aveva dai 18 ai 22-23 anni sino all’inizio degli anni 2000 (quindi quante e quanti oggi sono over 30).

Ci mancavano oggetti e attitudini che oggi sono alla base del vivere quotidiano di tutti e tutte, oggetti e abitudini oggi ritenuti INDISPENSABILI per la sopravvivenza.

Prima di iniziare la mia carrellata, voglio sottolineare che non c’è nessun giudizio di merito o demerito nelle cose ovvie che sto per sottolineare: Non voglio dimostrare che noi eravamo superiori (anche perché non lo eravamo affatto e spesso credo che è davvero un miracolo che abbiamo sempre riportato a casa la pellaccia). Non ci saranno in questo pezzo riflessioni o retropensieri del tipo:

“Eh, voi giovani di oggi, invece… Noi al contrario…”. Non è mia indole e non sono ancora abbastanza vecchia per fare la differenza con i giovani e nascondere la mia invidia dietro ad una presunta superiorità generazionale.

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Nessuna lezione di etica ed epica del viaggio, chiaro? Solo un excursus su una preistoria della quale è bello far parte.
Partiamo dall’ovvio:

Partivamo senza telefonino 

Partire quando non si aveva un telefonino implicava tutta una serie di cose che andavano ben al di là di del non poter telefonare da qualunque posto.
La preistoria delle telecomunicazioni ci portava a

  • dare nostre notizie al massimo una volta al giorno (le chiamate internazionali avevano costi che nemmeno oso ricordare e anche le interurbane non scherzavano)
  • quando si volevano dare notizie, si doveva uscire e cercare una cabina telefonica, spesso fare la fila al freddo e in compagnia di estranei.

Molti oggi non lo riterrebbero sicuro. Non mi riferisco solo ai ventenni che hanno sempre viaggiato con lo smartphone; persino io sinceramente non viaggerei senza cellulare. Ma allora era normale, e i rimedi per tenere tranquilli i congiunti a casa o restare serene sulla fedeltà di fidanzati e fidanzati erano altri, metodi ingenui come:

  • le catene telefoniche tra parenti: se si viaggiava in gruppo, a turno la mamma/fidanzato/fratello complice di turno chiamava il resto delle reti familiari o amicali per dire ‘tutto ok, passo e chiudo’ (questo implicava il potersi ubriacare, fumare cose, andare a ballare o fare sport estremi senza essere scoperti o destare sospetti dal suono della voce – io sono figlia di un poliziotto, e anche un sms mi avrebbe smascherata, per non parlare del fatto che cellulare o meno, avevo sempre l’FBI alle calcagna).

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  • per un fatto di sicurezza… partivamo senza avvisare nessuno (gli ex studenti e studentesse fuori sede si pronuncino in merito e facciano coming out) o dicevamo di andare in Toscana ma in realtà eravamo in qualche zona di guerra, tanto bastava dire che le cabine telefoniche non funzionavano. Diciamoci la verità, essere delle teste di minchia prima del 2000 era molto più semplice di oggi.

Partivamo senza Smartphone 

Io ho uno smartphone da appena 6 anni. E non so come ho fatto a vivere senza per i miei primi inutilissimi 28 anni)
Fare un viaggio, per di più da sole, quando internet e i social network non erano sempre addosso a noi con la relativa carrellata di  amici, conoscenti e gente di cui non ci frega quasi nulla, implicava una serie di cose:

  • se eravamo felici, lo sapevamo solo noi
  • se mangiavamo bene, lo sapevamo solo noi
  • se ci capitava qualcosa di strano, lo sapevamo solo noi

Almeno sino al rientro, quando quelle cinque o sei persone care sarebbero state interessate ai nostri racconti (5 o 6, non di più, non scherzo) ci avrebbero tirato fuori qualche aneddoto.
Insomma… facevamo le cose senza che nessuno ci guardasse in tempo reale. E tutto funzionava lo stesso.

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Posso dirlo? Lo dico.
No, quel periodo non mi manca. 

Sin da tempi non sospetti, quando nemmeno me lo sognavo di poter avere un telefono più smart di me a portata di mano, ho sempre amato condividere in tempo reale quello che vivo in viaggio. Nel 2005 nasceva il primo sabrinabarbante.it, e appuntavo tutti i miei spostamenti e le mie impressioni in attesa di poterle riportare sul mio blog e farle leggere alle dieci o quindici persone parte del mio entourage informaticamente alfabetizzato.

Però, che dire, ricordo che la solitudine era un meccanismo che funzionava, tutto sommato.

App

Senza smartphone non vuol dire solo senza social network ma anche senza App.

Niente mappe sul cellulare, niente App che ti dicono qual è il ristorante vegetariano più vicino, niente app che diceva temperatura e meteo. Niente controllo in tempo reale del ritardo del tuo aereo. Niente localizzatore che dice a chi ci controlla dove siamo (io non ce l’ho nemmeno adesso, a dire il vero).
Niente, ragazze e ragazzi. Niente.
Si viaggiava con le guide (delle quali io sono sinceramente felice di essermi liberata), con un bagaglio di fortuna nella speranza di vestirsi in maniera adeguata al meteo.

In un climaticamente drammatico campeggio in Trentino, fui ‘costretta’ a telefonare (dopo aver cercato il numero su una guida telefonica) ad un campeggio austriaco per chiedere se lì il clima fosse decente prima di rimpacchettare tutto in spalla e scegliere di varcar la frontiera verso Innsbruck.

Con una App non avrei dovuto usare un elenco telefonico, non avrei probabilmente dovuto chiamare per chiedere del meteo, del posto per una tenda… forse non sarei mai andata in un piovosissimo e gelido Trentino. Così non si poteva andare avanti… o sì?

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Free Wi-fi

Metodi per avere internet anche in viaggio, oggi, ce ne sono a bizzeffe. Dalle offerte delle compagnie telefoniche (che a mio avvisano sono ancora troppo care e quindi delle quali non mi avvalgo) alla presenza di free wi-fi in moltissimi locali e hotel, persino ostelli.

Per cui è possibile stare senza internet per tutto il giorno, o almeno sino al prossimo Starbuck’s, poi tornare in hotel e sentirsi nuovamente connessi al mondo.
Un tempo la connessione non c’era: spesso partire voleva dire rileggere la mail solo dopo il rientro o una volta a settimana o in quei posti bruttissimi chiamati INTERNET POINT.

Nel mio periodo maltese, nel 2007, non avevo internet in casa ma le cose erano già cambiate: avere una connesione era per me ormai importante per comunicare, per mandare CV, per dire cose su di me a chi aveva interesse senza spendere una fortuna, per scrivere qualcosa sul mio blog, che da 15 lettori era arrivato a 25 (perché avevo scoperto che potevo mandare una mail ogni volta che scrivevo un nuovo articolo, pratica cui poi gli esperti avrebbero dato il nome di spamming).

Era il tempo in cui la faccenda si risolveva uscendo di casa con il pc (ai tempi di in cui un 18 pollici veniva definito portatile) e cercando una connessione da scroccare da qualche ufficio o hotel. Ovviamente bisognava farlo di sera, perché di giorno c’erano troppe connessioni e non si riusciva a fare niente. (L’acqua è poca e la papera non galleggia, cit.)
Sulle coste di Sliema, quando tirava vento favorevole, dall’Hotel Meridiana arrivava un segnale idoneo ad ottime chiamate via skype. Quel vento che mi dava internet mi tolse anche la voce per ben due volte e un totale di 12 giorni, quindi ‘fanculo skype, potevo si e no mandare qualche e-mail.

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Foto in analogico 

Mio dio, sono davvero preistorica. Dai 18 ai 23 anni (anno della laurea, in cui ho ricevuto in regalo la prima macchinetta digitale compatta) ho viaggiato con una zenit analogica! Il solo modo che avevo per rivedere e mostrare le foto dei viaggi era dopo averle stampate.
Mio padre stampava e ancora adesso stampa tutto (anche le foto doppie, anche quelle mosse, anche quelle brutte, perché l’avvento del digitale non ha avuto alcun effetto sulle sue abitudini). Il punto è che lui fa bene: le foto si stampano. è la regola. Punto.

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Ennesima regola che devo imparare anche con le cattive ad interiorizzare, nonostante la comodità e possibilità di portare e mostrare ovunque le foto in digitale, con macchina fotografica o smartphone.

Sino a dieci anni fa (anche meno) insomma, si viaggiava con meno soldi forse, ma anche con meno strumenti. Mappe cartacee e guide che partivano nuove e tornavano consunte, a brandelli.
Quaderni di appunti, foto in analogico da stampare (e che temo saranno le sole che avrò ancora quando dovrò mostrarle ai miei nipoti), errori su errori e posti sbagliati in momenti sbagliati. Attese nelle cabine telefoniche e quel senso della distanza che si avvicinava alla paura di essere dimenticati da chi restava a casa.
E a volte, avveniva davvero.

Hai altri ricordi rimossi? Che cosa altro ci mancava, senza il quale effettivamente è assurdo sopravvivere?

 

 

 

 

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