Cracovia e le “attrazioni” sull’Olocausto come il museo della fabbrica di Schindler: quali visitare e soprattutto come.
E quando no, non è il caso di visitarle.
Non sopporto il dolore. O meglio, non sopporto la violenza di umani su umani ed altri esseri viventi e non sopporto il dolore che la violenza comporta.
Come ho scritto in questo post per Movidabilia sul mio viaggio con il Treno della Memoria organizzato da Terra del Fuoco Mediterranea, la violenza io non so decodificarla.
Appartengo a quella tutto sommato ristretta cerchia di persone che non riescono a restare lucide di fronte alla narrazione della violenza; sono priva di quel diffuso schermo che aiuta gli esseri umani a “trascendere” e vedere le situazioni di dolore dal di fuori.
Per questo avevo detto a molte persone che, nella vita, difficilmente sarei andata ad Auschwitz-Birkenau o in qualunque altro campo di sterminio visitabile.
Poi la vita te lo chiede davvero, e lì devi entrare nella “camera delle scelte”.
Nel mio caso la cosa ha significato affrontare la mia incapacità e paura, senza, necessariamente, superarla.
Partiamo dall’inizio: Non consigliavo a me stessa né ad altri di visitare i campi di sterminio.
Saltiamo alla fine: Continuo a dire che no, non ci andrei e non consiglio di andare.
Non al di fuori di un percorso che parte da lontano, da prima di partire. Non senza un percorso di avvicinamento emotivo a quello che si sta per vedere, attraverso guide, formatori e formatrici, non senza momenti di condivisione di gruppo distanziati da momenti di riflessione da soli.
La dico tutta? Ok, vai, la dico: credo sarebbe opportuno far visitare questi luoghi solo a gruppi che hanno intrapreso un minimo percorso di comprensione storica e avvicinamento emotivo a quanto è accaduto.
E non solo perché io, instabile, senza la protezione del Treno della Memoria e la bellezza dei suoi giovani partecipanti non ne sarei uscita in piedi, ma anche perché nessuna sofferenza e alcuna violenza deve essere percepita come i cimelio di un museo: passato impolverato, testimonianza di ciò che non c’è più.
A chi visita Cracovia, in maniera autonoma e senza una preparazione specifica sui campi di sterminio, consiglio invece di vedere il museo della fabbrica di Oskar Schindler, sito proprio nella fabbrica assegnata al famoso tedesco durante l’occupazione, la cui lista di operai ha salvato la vita agli stessi dalla deportazione verso morte certa.
Non si tratta di un museo dedicato al film di Spielberg interpretato da Liam Neeson (film di cui questo posto è stato parte del set).
Tanto meno è un museo dedicato alla memoria del personaggio, parte anonima del rodato meccanismo di sfruttamento di operai ebrei a basso costo dal quale poi si è distaccato, con buona pace di chi dice “ricevevamo ordini, non potevamo opporci, non potevamo far nulla”.
Certo, c’è la sua scrivania, la ricostruzione del suo ufficio, qualche oggetto significativo.
Ma l’allestimento, progetto guidato da Monika Bednarek, è un museo multimediale dedicato all’occupazione della città, per come è stato vissuto dalla città.
L’occupazione di Cracovia fu diversa rispetto alle altre città polacche e molto, molto diversa dall’occupazione a Varsavia che, come già detto in questo post sulla mia Varsavia, fu del tutto rasa al suolo.
Nessuna resistenza gloriosa qui, dove il sindaco dichiarò subito Cracovia città aperta, salvando così molti civili perché l’occupazione non fu accompagnata da bombardamenti.
Cracovia non è stata ricostruita, quasi nulla è stato distrutto.
I segni dell’occupazione, nazista prima, comunista dopo, sono nei racconti e nelle riflessioni della gente di Cracovia.
Ho avuto l’onore di conoscerne una rappresentanza di rilievo per cultura generale, approccio all’internazionalità, apertura mentale. Davvero una meravigliosa generazione di europei.
Il percorso museale termina con un tunnel buio su un pavimento molle e instabile. Proprio come era l’Europa dopo la Grande guerra (sia dopo la prima che dopo la seconda): shoccata, instabile, buia.
Il tunnel guida ad un pozzo di luce bianca, forte e improvvisa, con pannelli che riportano i dilemmi umani in tempo di guerra, il dubbio etico del combattere, se combattere, come e contro chi.
I dilemmi sono negativi, fissi. Altri revisionisti, girevoli, variabili, volubili.
Questo pozzo luce è un punto zero, potenzialmente può essere tutto, dal migliore dei mondi possibili ad un inferno peggiore del precedente, proprio come è stata la seconda guerra, dopo la prima.
Questo punto ha un nome. Si chiama Stanza delle scelte.
rosa
Bello mi piace tanto